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L’intervento di Mackenzie e Coppedè

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Evan Mackenzie e il Palazzo della Meridiana

Il destino del Palazzo della Meridiana si incrociò con quelli di Evan Mackenzie e di Gino Coppedè all’inizio del Novecento. L’affermato assicuratore iniziò a interessarsi alla dimora di Girolamo Grimaldi, ormai di proprietà della famiglia Mongiardino, proprio nel 1900 con l’intenzione di trasferirvi gli uffici della sua fiorente Amministrazione. In quell’anno Mackenzie incaricò l’architetto fiorentino di redigere i ‘testimoniali di stato’, cioè la perizia sullo stato in cui versava l’edificio, ma non sappiamo con esattezza quando i lavori di ristrutturazione ebbero inizio. Come vedremo più avanti, poiché la decorazione pittorica degli ambienti principali e di rappresentanza è attribuibile al pugliese Nicola Mascialino che si trasferì a Genova nel 1907 e poiché Coppedè citò tale intervento nel suo Ricorso del 1913, buona parte dei lavori dovettero essere eseguiti proprio in quell’intervallo di anni, anche se documenti ritrovati in occasione della redazione del presente testo attestano che già nel 1907 gli uffici dell’Amministrazione Mackenzie avevano sede nel palazzo. Il 14 gennaio di quell’anno, infatti, Mackenzie presentò domanda ufficiale alla sede centrale dei Lloyd’s di Londra per diventare loro rappresentante a Genova e in Liguria, indicando che i suoi uffici si trovavano in piazza della Meridiana, “five minutes from the Harbour as Headquarters – and Exchange Branch close to the Harbour”, e quando, il 23 febbraio seguente, egli inviò a Londra un dossier supplementare, la lettera di accompagnamento, redatta sulla sua carta intestata, indicava come indirizzo appunto piazza della Meridiana. Sappiamo anche, del resto, che nel 1901 gli uffici di Mackenzie erano ancora in piazza della Nunziata: è lì che Evan festeggiò il venticinquesimo anniversario dell’attività della sua Amministrazione, nonché le nozze d’argento con la moglie Maggie Tenison.

Quello che è certo è dunque che, al più tardi entro il 1907, Mackenzie diede incarico a Coppedè di ristrutturare il palazzo come sede dei propri uffici. Che Evan decidesse di avvalersi del gusto un po’ spericolato dell’architetto fiorentino non stupisce affatto: era al giovane Gino che aveva affidato dieci anni prima, quando quest’ultimo era ancora uno sconosciuto, la costruzione della sua dimora privata, quel castello principesco e capriccioso alle spalle di piazza Manin che era ormai praticamente ultimato e che aveva già fatto tanto parlare di sé.

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Fu proprio in conseguenza dell’edificazione del castello Mackenzie, dell’ottimo rapporto instaurato con il committente, nonché degli importanti contatti professionali che quest’ultimo dovette dischiudergli, che Coppedè si impose come uno degli architetti più prolifici nella Genova di quegli anni e il suo stile – che fondeva in maniera personalissima e fantasiosa creatività e tradizione, reinterpretando schemi e stili collaudati nell’ottica, però, dell’effetto e dell’“apparire”, anche a costo di mostrarsi sovraccarico e paradossale – divenne una delle espressioni più caratteristiche dell’alta borghesia imprenditoriale cittadina, specchio e richiamo allo stesso tempo del successo sociale raggiunto.

Anche per Mackenzie furono gli anni della massima affermazione a livello professionale: nel 1907, a cinquantacinque anni, ricopriva un ruolo di primo piano all’interno del business assicurativo non solo genovese, ma anche nazionale e internazionale; l’anno precedente aveva dato alle stampe un volume in cui si faceva promotore di una riforma complessiva del sistema assicurativo nazionale; la fresca nomina a rappresentante unico per Genova e la Liguria dei Lloyd’s di Londra sanciva un successo invidiabile.

 Non deve quindi stupire l’ampiezza e l’ambizione dell’intervento di ristrutturazione che Mackenzie commissionò a Coppedè relativamente ai nuovi uffici nel palazzo della Meridiana, intervento che doveva avere proporzioni ben maggiori di quanto noi riusciamo a leggere oggi, se è vero che l’assicuratore, come mensa aziendale, vi “organizzò un vero e proprio ristorante … con cucine e sale vastissime, tavoli, stoviglie, posateria, tovaglie e tovaglioli (non di carta) e naturalmente tutti i servizi di cucina e di sala. Il personale dipendente poteva consumare i pasti con una spesa di pochi centesimi. Ciò permetteva l’adozione di un orario unico, stile inglese, e alle 17.00, come nella City a Londra, il lavoro aveva termine. Vi era pure il five o’ clock tea alla buvette, per chi lo gradiva”.

Quando, nel maggio del 1915, l’Italia entrò in guerra, la famiglia Mackenzie, che pure aveva mantenuto la cittadinanza britannica, diede prova di patriottismo: William, figlio primogenito di Evan e allora collaboratore dell’impresa paterna, mise la sua casa a disposizione del Sindaco di Quarto “per quei giusti contributi ch’egli trovasse necessario di richiedere …”, mentre il padre offrì alcuni ambienti, “prospicienti il giardino verso Castelletto”, del palazzo della Meridiana perché venissero trasformati in ospedale per gli ufficiali italiani. “Questo ospedaletto stabilito nel sontuoso palazzo della Meridiana crediamo non abbia eguale in Italia. Disposto nel migliore e più arioso piano del palazzo dà l’impressione di una delle più ricche case di salute private o uno di quegli alberghi, stile inglese, in cui il lusso è attenuato da una pace luminosa. Mackenzie, gran signore e mecenate, ha voluto anche qui profondere il suo buongusto, la sua genialità, preoccupato soprattutto dal sentimento di attenuare il dolore con una visione di benessere. (…) Le bianche camere, una decina con una quarantina di letti, i mobili bianchi, sobrii nella loro eleganza, corredati di tutte le cose strettamente necessarie al malato ed ospite, i vasi di cristallo con freschi fiori sul tavolo di mezzo o sul mobiletto intimo accanto al letto, corrispondono perfettamente allo scopo cui ha mirato il munifico signore e la sua amministrazione.”

L’Arcivescovo di Genova visitò l’ospedale nell’ottobre del 1916. La guerra doveva colpire Mackenzie in maniera durissima: l’ultimogenito, il giovane Mario, arruolatosi volontario nella Royal Air Force, morì tragicamente il 12 ottobre 1917, quando il suo aereo venne abbattuto nel cielo di Portsmouth.

Evan e la moglie decisero di ricordare il sacrificio del figlio con una lapide che venne murata nel palazzo della Meridiana.  Ne abbiamo notizia dalla pubblicazione che venne stampata per l’occasione e che contiene anche le orazioni funebri tenute da A. Crotto e dal “tenente” Sem Benelli. La lapide si trova ora fissata nel muro esterno accanto all’ingresso principale della cappella del castello Mackenzie, per cui, come abbiamo già sostenuto in altra sede, è ipotizzabile che Evan l’abbia fatta asportare nel momento in cui i suoi uffici lasciarono il palazzo della Meridiana a metà degli anni venti per ricollocarla nella sua abitazione privata. Possiamo anche supporre che la lapide, che si trova adesso nel cortile coperto accanto all’ingresso del palazzo da salita San Francesco, sia stata sistemata proprio in sostituzione di quella originale dedicata a Mario. Due anni dopo un altro grave lutto – la perdita della moglie Maggie – colpì Evan. Egli continuò comunque a essere attivo a livello professionale e sociale. Nel 1919 venne nominato presidente della Camera di commercio britannica per l’Italia, nel 1922 gli venne conferita una medaglia di benemerenza e, in occasione della Conferenza di Genova, egli mise a disposizione i suoi uffici di palazzo della Meridiana come sede per l’Ufficio internazionale del lavoro e offrì un sontuoso ricevimento al castello in onore di alcune delle delegazioni partecipanti. Evan si spense a Genova il 25 marzo 1935 all’età di ottantatre anni. I suoi uffici, però, avevano lasciato il palazzo della Meridiana un decennio prima. Del 1926 sono alcuni certificati assicurativi emessi dall’Amministrazione, in cui l’indirizzo è già piazza Fontane Marose 18. Fu il Comune, proprio in quell’anno, a prendere in affitto alcuni locali della dimora dei Grimaldi, per la quale iniziò una nuova fase della sua storia.

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L’intervento di ristrutturazione di Gino Coppedè e le decorazioni di Nicola Mascialino Oltre a documentare la continuità dei suoi rapporti con Mackenzie, l’intervento di ristrutturazione da parte di Coppedè del palazzo nobiliare nel cuore del centro storico genovese – sviluppatosi principalmente nello studio dell’impianto decorativo dell’androne, del cortile e dello scalone – confermò, come nel caso dell’articolata elaborazione scenografica del Castello Mackenzie o del disegno della facciata del Miramare, la sua inclinazione a privilegiare la modellazione della superficie plastica, sovrapponendo come già rilevato da Mario Labò, la figura tradizionale dello scultore-decoratore a quella dell’architetto.

L’importanza di tale intervento per lo stesso Gino Coppedè è peraltro dimostrata dalla sua inclusione nella relazione per il ricorso che l’architetto inviò al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione nel 1913, dopo l’esito negativo della sua partecipazione al concorso per la cattedra di Architettura Generale, presso la Regia Scuola di Applicazione per gli ingegneri di Roma. In tale testo scriveva infatti a proposito dell’intervento di ristrutturazione commissionatogli da Mackenzie: “Pure per detto signore riordinò e trasformò completamente il palazzo detto della ‘Meridiana’ sede degli uffici per le varie società d’assicurazioni residenti in Genova, ripristinandone l’originaria costruttura architettonica e riscuotendo il plauso dell’ufficio per la conservazione dei monumenti”.

Il complesso ornato decorativo delle sale di rappresentanza del palazzo – culminante con il grande lucernario con vetri colorati, al cui centro campeggiano i simboli delle città di Roma, Venezia e Torino e quattro tondi con raffigurazioni delle caravelle – rappresentò un’ulteriore prova della coralità del cosiddetto “stile Coppedè”: un procedimento operativo che si espresse, all’interno del laboratorio artigianale che darà vita alla “Casa Artistica”, attraverso l’interazione tra le singole specificità professionali dei famigliari, ma anche grazie al proficuo e prolungato rapporto di collaborazione con alcuni artisti. Tra essi si deve annoverare Nicola Mascialino, pittore pugliese trasferitosi a Genova nel 1907, a cui è appunto possibile attribuire le decorazioni a tempera del palazzo della Meridiana.

L’impostazione classicheggiante di tali interventi pittorici – risolta in genere attraverso modelli stilistici e iconografici d’impronta neorinascimentale, raffiguranti immagini mitologiche e elementi naturalistici, tipici della cultura espressiva di Mascialino -appariva più incline, nell’androne, alla ripresa di moduli di matrice pompeiana, spesso presenti nella contemporanea produzione dei Coppedé. I motivi classicisti di questa sala di ingresso quadrata su salita San Francesco – particolarmente evidenti nei ritratti di personaggi storici romani, incorniciati da cartigli e corone di alloro – richiamano infatti le opere decorative di ispirazione pompeiana eseguite dallo stesso Mascialino, per conto di Coppedè, nell’ambito dell’intervento di ristrutturazione dell’Hotel Eden di Nervi.

Nato ad Alberobello nel 1854, Nicola Mascialino frequentò a Napoli l’Accademia di Belle Arti, avvicinandosi stilisticamente a Giacinto Gigante, uno tra i principali esponenti della Scuola di Posillipo, un cenacolo di artisti impegnati nello studio del paesaggio dal vero. Interrotti gli studi all’Accademia, dopo un breve soggiorno a Firenze, il pittore era tornato in Puglia, dove svolse a partire dal 1878 un’intensa attività di decoratore e restauratore in edifici pubblici e privati. In tutti questi interventi decorativi Mascialino, che fu anche autore di scene teatrali, rivelò, in linea con la sua formazione manierista, un peculiare gusto per raffigurazioni caratterizzate da illusioni ottiche: finti tendaggi, veli, drappeggi, gallerie e balconate cieche.

Acquisita una notevole fama regionale, grazie a queste molteplici committenze, Mascialino, dopo un infruttuoso soggiorno a Roma all’inizio del secolo, nel 1907 si trasferì a Genova, dove risedette sino al 1922, aprendo uno studio a Sampierdarena. Nel capoluogo ligure l’artista pugliese, che in questo periodo incominciava ad alternare l’attività di decoratore alla pittura da cavalletto, entrò ben presto in contatto con Gino Coppedè, il quale gli commissionò interventi decorativi e pittorici per gli interni di alcuni suoi edifici. Oltre agli apparati ornamentali per il palazzo della Meridiana, l’intervento più significativo all’interno di questa collaborazione professionale fu quello per il palazzo di proprietà del finanziere Pastorino, attiguo al Ponte Monumentale e ricordato anche come Palazzo del Mare. Adeguandosi al monumentalismo neocinquecentesco del progetto di Coppedè – connotato come in altri suoi interventi dello stesso periodo da un repertorio eclettico che coincideva con le mire autocelebrative della sua ricca committenza borghese – Mascialino realizzò per il soffitto delle scale un dipinto che richiamava i motivi delle pitture pompeiane e dipinse nella camera da letto padronale un Idillio Pastorale o Idillio di pastori abruzzesi.

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L’acceso cromatismo e lo sviluppo compositivo di questo dipinto murale, caratterizzato nel richiamo al tema agreste da un definitivo abbandono degli stilemi manieristi e accademici della sua formazione, in favore di una più complessa e suggestiva visione naturalistica, trovava peraltro riscontro, all’interno della sua produzione pittorica, in alcune nature morte, nelle quali come scriveva Giulio E.M. Peloso: “La frutta appare più un simbolo che una realtà e rappresenta un dialogo efficace e spontaneo con la natura”. Tale attenzione agli elementi naturalistici si evidenzia anche in alcune delle decorazioni pittoriche del palazzo della Meridiana; in particolare nelle coperture a cupola del colonnato che delimita, nel cortile interno, la grande volta del lucernario. Inquadrate entro motivi decorativi di matrice rinascimentale, le immagini di ispirazione sacra o storica – ad esempio le raffigurazioni delle caravelle di Colombo o di San Giorgio e il drago – si alternano con altre di soggetto naturalistico, come nel caso delle rappresentazioni di rigogliosi pergolati carichi di tralci d’uva, nelle quali sembra persistere quel gusto per l’illusione ottica che aveva connotato i primi cicli pittorici di Mascialino. Nello stesso ambito, infine, i soggetti delle lunette – castelli, chiese, architetture classiche e mascheroni – oltre a rinviare a quel vocabolario linguistico d’impronta rinascimentale, ampiamente diffuso nell’approccio storicista del Coppedè, rivelano anche una certa corrispondenza con le decorazioni pittoriche della volta e con le cinque lunette, raffiguranti città della Toscana, che nel grande atrio del castello Mackenzie accompagnano i dipinti murali di Carlo Coppedè.

Sempre nel palazzo della Meridiana, in una lunga sala rettangolare, a fianco dell’atrio che si affaccia su salita San Francesco, le decorazioni pittoriche – attribuibili anche in questo caso a Mascialino, quasi sicuramente impegnato in tutto l’apparato decorativo degli interni del palazzo, inclusi gli interventi che riquadrano le sale decorate da Luca Cambiaso – rivelano una maggiore apertura verso gli stilemi art nouveau, a conferma di una non sporadica sintonia da parte di Coppedè, con le emergenti tendenze moderniste. Lo stesso Mascialino, probabile autore nella citata sala di alcune sinuose figure femminili, nelle quali l’influenza simbolista è evocata dall’immagine di un donna raffigurata con un teschio, si confrontò peraltro, durante il suo periodo genovese, con il gusto modernista. L’artista pugliese espresse infatti negli stessi anni una moderata tangenza con le inflessioni liberty in alcune decorazioni di sale teatrali e cinematografiche eseguite a Sampierdarena, all’interno di una complessiva opera di imprinting modernista, che caratterizzò all’epoca la nuova immagine urbanistica dell’allora comune a ponente di Genova. Tra le nuove strutture pubbliche, improntate alle istanze linguistiche emergenti, si deve annoverare anche il nuovo cinematografo Dante edificato nel 1912 per conto dei fratelli Tullio e Guido Queirolo su progetto dell’ingegner Cuneo, con la collaborazione per i calcoli del cemento del professor Schiavina. Molto celebrata fu all’epoca la decorazione per la sala cinematografica approntata da Mascialino che, in seguito, fu chiamato alla direzione artistica del rinnovando Politeama Sampierdarenese. L’intervento, eseguito in collaborazione con l’ingegner Pietrozzani, riscosse ugualmente un positivo consenso come documentato da una caricatura del pittore e del progettista apparsa sul giornale “Successo” e accompagnata da questa didascalia in rima: “L’ingegnere Pietrozzani – Col pittore Mascialino – Trasformaron in una reggia – ciò che era un magazzino”.

“Purtroppo il palazzo non ebbe nell’ultimo secolo una manutenzione scrupolosa. Fin dal 1846 l’Alizeri, quando la proprietà era passata negli [sic] Odero, lamentava che Candido Leonardi avesse coperto, con degli ornati, affreschi di Luca Cambiaso e di Lazzaro Calvi. Molto più recentemente, a memoria nostra, tutto fu ‘revisionato’ da Coppedè, che gli diede il colpo di grazia”.
Così, sarcasticamente, Mario Labò commentava nel dopoguerra uno tra i tanti interventi architettonici condotti a Genova da Gino Coppedè: forse non uno tra i più celebri e impegnativi, ma ugualmente significativo in quanto testimoniava, anche dopo la fine del cantiere del Castello Mackenzie – opera prima e capolavoro assoluto dell’architetto fiorentino – il protrarsi del suo legame con l’assicuratore scozzese, da anni trapiantato nel capoluogo ligure. (Matteo Fochessati e Gianni Franzone)

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