Ulisse saetta i proci con l’aiuto di Minerva e di Telemaco
L’affresco “Ulisse saetta i Proci con l’aiuto di Minerva e di Telemaco” di Luca Cambiaso, sulla volta del Salone Cambiaso al quarto piano del Palazzo costituisce uno dei più caratteristici risultati della alta qualità operativa dell’artista: in ambito laico è forse il più significativo nel segnare, attraverso scorci arditi, i caratteri del rapporto figura-spazio, come inteso dall’artista; nello stesso tempo sottolinea le sue grandi qualità pittoriche.
Eppure, malgrado la centralità dell’edificio dei Grimaldi, accanto alla Strada Nuova dell’aristocrazia genovese, l’affresco ha vissuto un progressivo oblio, nonostante fosse in un edificio a destinazione pubblica, ed è stato a lungo lasciato in stato pressochè di abbandono. Scongiurate le insidie del tempo e dell’incuria il dipinto murale della Meridiana ha resistito fino ad apparire, oggi, dopo il restauro, in una conservazione miracolosamente buona che restituisce le potenzialità di una pittura “generosa” come quella del Cambiaso nel periodo centrale della sua attività.
Documenti d’archivio ci raccontano delle successive evoluzioni e trasfomazioni del Palazzo avvenute tra XVII e XVIII secolo. L’affresco compare infatti in un Inventario fatto stilare nel 1675 dal procuratore di Gerolamo Grimaldi: il primo ambiente esaminato è “la sala dipinta per quanto s’asserisce di mano di Cambiaggio” Nel 1758 si parla di una “Fissura al traverso” nella sala principale, quella affrescata con Ulisse che saetta i Proci, “fissura” ancora oggi visibile. (Proprio nella zona dell’antica “fessura” Cambiaso aveva espresso una delle sue prove di talento: in una cornice finta si intuisce la presenza di un quadro, nel quale sono rappresentati diversi personaggi in un paesaggio, pittura nella pittura.)
Nell’affresco Cambiaso mostra come la figura umana in moto possa inserirsi nello spazio con pari forza anche nella potenza dello scorcio: la traduzione della forma umana è una sintesi geometrica, fatta di volumi misurabili, coerente con l’idea rinascimentale di una chiave unica di interpretazione estetica del creato, una modalità che permetta ” il commensurare tutte le cose che sono nel mondo”.
Struttura e composizione sono meditate da Cambiaso nel progetto grafico, mentre la straordinaria qualità pittorica, la generosa dedizione profusa dall’artista nella stesura dell’affresco, realizzano, nei modi a lui congeniali, la “crescita” dei suoi manichini verso una resa al naturale di carni e vesti. Esaminando l’affresco restaurato emergono gli impasti ricchi dei volti, curati come ritratti ad olio, si esprime la cura del particolare, la natura morta sul tavolo, la resa virtuosistica dei capelli, degli elementi di finiture, calzari, gioielli, amorevolmente perseguiti pur nella lontananza dall’osservatore. Nello stesso tempo, accanto allo sforzo di portare al naturale le sue sintesi grafiche, Cambiaso torna sull’affresco finito, a segnare con tratti grafici superfici, vesti, spallacci.
Molte sono le analogie fra le immagini dell’Odissea ritratte e le vicende delle grandi famiglie genovesi evidentemente fiere della pienezza del proprio potere e splendore nella seconda metà del Cinquecento e conscie insieme di una gloria famigliare di origine feudale.